Azione diretta contro le basi militari

La manifestazione del 3 novembre al poligono di capo Teulada [Sardegna] è stata una grande vittoria del movimento antimilitarista: non era mai successo che si riuscisse ad interrompere una esercitazione della NATO; e non si trattava di una manovra qualsiasi, ma della Trident Juncture, la più grande esercitazione dai tempi del crollo del muro di Berlino: 30 Stati, 36.000 militari, 60 tra navi e sottomarini e 140 tra aerei ed elicotteri. Una esercitazione funzionale all’obiettivo di triplicare entro il 2016 gli effettivi della Nato Response Force (NRF), portandoli da 13 mila a 30 mila unità, e affiancandovi una forza di intervento rapidissimo, VJTF (Very High Readiness Joint Task Force), di nuova costituzione, composta da circa 5000 militari, supportati da mezzi aerei e navali, in grado di schierarsi e intervenire sul terreno in sole 48 ore. Le ragioni di questa escalation sono precisate nel “Piano di Azione Rapida” (NATO’s Readiness ActionPlan) che, nei propositi dell’organizzazione: “Risponde alle sfide poste dalla Russia e alle loro implicazioni strategiche. Risponde anche ai rischi e alle minacce che emergono dai nostri confini meridionali, Medio Oriente e Nordafrica”1. L’intento di arrivare ad una massiccia mobilitazione contro questa mostruosità era emerso l’estate scorsa durante le giornate del campeggio No-Muos. In realtà ci si poneva un obiettivo ancora più ambizioso: proporre una giornata di azione diretta contro le esercitazioni, che si svolgesse contemporaneamente in tutti i siti interessati. In effetti una simile proposta è poi arrivata dai compagni di Saragozza, ma è risultata difficilmente realizzabile per la non coincidenza dei calendari delle esercitazioni nei diversi paesi. Parallelamente, in diverse città d’Italia ci si attivava contro la Trident Juncture: a Napoli si è lanciata la proposta di una manifestazione nazionale per il 24 ottobre, i No-Muos ne hanno promossa una il 31 ottobre a Marsala, e ne è annunciata un’altra per il 25/26 novembre a Firenze in occasione del vertice NATO.

L’organizzazione della manifestazione è dunque partita da settembre, con un pazientissimo, faticoso ed oneroso lavoro di documentazione, studio del territorio, controinformazione, incontri ed assemblee e un primo appuntamento lanciato fin dall’estate per un campeggio di lotta nei giorni 9-10-11 ottobre, organizzato a Cagliari occupando una ex cava. In quella occasione si è avuto subito modo di saggiare la volontà repressiva nei confronti del movimento: numerosi compagni arrivati dal continente hanno trovato ad attenderli all’aeroporto i fogli di via della Questura, ed il corteo organizzato l’ultimo giorno di campeggio è stato oggetto di violentissime cariche, da cui peraltro ci si è ben difesi riuscendo ad evitare perlomeno che ci fossero fermi. Nei giorni del campeggio, funestati dal maltempo si sono svolte diverse iniziative, tra cui quelle dirette contro le strutture della Croce Rossa (direttamente coinvolta nella Trident Juncture) e contro l’attracco di sommergibili turchi presso il porto militare.

Le settimane seguenti il campeggio sono state una accelerazione di iniziative: assemblee quotidiane in tutti i luoghi dell’isola, occupazione dell’università, benefit di autofinanziamento, una “marcia per la Pace” ed una manifestazione regionale a Cagliari sabato 31 ottobre, con quasi 2000 persone in piazza. Una iniziativa quest’ultima complementare alla manifestazione del 3, visto che per poter intervenire sulle esercitazioni era necessario scegliere una giornata feriale e questo avrebbe escluso la partecipazione di molti, impegnati con il lavoro. Ma ancor più pesava la minaccia repressiva che sconsigliava la presenza di chi per motivi di età o di salute si sarebbe potuto trovare in difficoltà: già nei giorni precedenti la manifestazione del 31 ottobre hanno cominciato ad essere recapitati ai militanti più esposti fogli di via per 3 anni dai comuni in cui risiede il Poligono di Capo Teulada, ed il Questore di Cagliari ha reso nota a mezzo stampa la sua volontà di proibire un corteo, ed essere disponibile solo a concedere un sit-in ben lontano dalle strutture militari. Lo sporco tentativo di dividere i manifestanti buoni (che se ne stanno a Cagliari e non creano incidenti) da quelli cattivi (che imbrattano i muri e violano le prescrizioni del Questore) ha avuto l’effetto di ricompattare un movimento in cui vi erano già un po’ di sbandamenti e di distinguo. Nella notte tra il 2 ed il 3 novembre si è tenuto un presidio presso i cancelli della Base di Teulada. La mattina chi arrivava in macchina al concentramento doveva passare 4 posti di blocco. I pullman partiti da Cagliari, con 150 compagni a bordo, sono stati fermati e circondati dagli antisommossa che pretendevano di identificare tutti, sapendo che a bordo vi erano alcuni dei 29 compagni raggiunti da foglio di via. La situazione di tensione è durata molto a lungo, fino a quando una dozzina di militanti con foglio di via non ha accettato di andare alla caserma dei Carabinieri del vicino paese di Giba, perché gli fosse notificata la denuncia di violazione del divieto. Nel mentre, dal concentramento era partito un corteo per raggiungere i pullman (circa 6 km di strada) e i compagni dei pullman a quel punto hanno fatto un corteo per andare incontro agli altri, e poi tutti assieme tornare indietro, verso la Base. La Polizia ha cercato di bloccare il corteo ricompattato creando un blocco stradale con i blindati, ma con grande serenità si è aperta la recinzione di un campo al fianco della strada bloccata, e tutti gli si è sfilati a fianco… nel mentre continuava ad arrivare gente, ed la manifestazione si ingrossava, arrivando probabilmente ad essere quasi di un migliaio di persone. Un corteo molto combattivo e determinato, aperto da un grande striscione corazzato con su scritto “Contro le Basi Azione Diretta”. Quando si è imboccata la strada che porta alla spiaggia di Porto Pino il corteo si è trovato imbottigliato tra una colonna di blindati davanti ed una dietro. Nel momento in cui la colonna davanti aveva già imboccato l’istmo che, tra due lagune, porta al mare, i compagni hanno deciso di deviare per una strada bianca che, passando a monte della laguna, porta direttamente alle recinzioni della Base. La Polizia non ha capito immediatamente cosa stava succedendo e, mentre si guadagnava tempo, un certo numero di persone si sfilavano via lungo il sentiero fangoso, trovando la rete della base in parte già aperta, in parte aprendola in altri punti. Ad entrare nella base sono state soprattutto compagne (con la colonna sonora dei colpi di cannone), tra cui perfino una madre con le sue due figlie. Ancora per un po’ hanno continuato a sparare, anche dopo che dall’interno della base chiamavano per dire che c’erano e che avevano acceso un fumogeno per farsi vedere (in seguito la polizia cercherà di sostenere che le esercitazioni fossero già terminate). Minacciosi ed arroganti, militari e carabinieri hanno cercato di stanare gli infiltrati perfino con i cani… nel mentre, quando la Polizia ha capito che cosa stava succedendo, ha provato a sfondare il cordone dei compagni che chiudevano l’accesso al sentiero. Lo scontro è stato molto duro e lungo, e si è risolto con un lancio di lacrimogeni in mezzo alla zuffa, cosa che ha necessariamente messo fine allo scontro visto che tanto i manifestanti quanto i celerini erano privi di protezioni, per cui ci si è tutti intossicati. Ma a quel punto la partita era ormai vinta. In ultimo si è preteso che tutti coloro che erano stati identificati e fermati dentro la Base fossero rilasciati in modo che si tornasse indietro tutti assieme… un pullman è anche passato a recuperare i compagni alla caserma di Giba… Il successo di questa giornata va cercato in un movimento che ha attinto linfa vitale dall’esperienza No Radar di qualche anno fa, in parte confluita nella rete “no basi ne’ qui ne’ altrove”, che ha promosso la mobilitazione. L’aspetto centrale di questa rete è l’essere strettamente orizzontale ed adottare decisioni assembleari, rifiutando ogni tipo di delega o rappresentanza, oltre che escludendo la partecipazione di esponenti politici.

Il metodo scelto dalla rete è l’azione diretta, ritenendo che “solo quando gli individui hanno trovato la determinazione per coinvolgersi personalmente nelle azioni di controinformazione, di resistenza e di sabotaggio della macchina bellica, si sono ottenuti risultati importanti”2. La rete è riuscita a saldare assieme persone distanti geograficamente, anagraficamente ed ideologicamente in una lotta specifica nella quale il metodo, la conoscenza, la solidarietà e la stima reciproca sono il collante delle iniziative. Il percorso della rete è partito lo scorso anno, dopo la grandissima manifestazione al Poligono di Capo Frasca, culminata con il taglio della rete e l’invasione della Base. A dicembre 2014 si riuscì ad interrompere l’esercitazione della Brigata Corazzata Ariete al Poligono di Teulada. In due occasioni si tentò di bloccare lo sbarco dei mezzi militari al porto di Sant’Antioco, ma senza successo. A quel punto si ebbe l’impressione che il movimento stesse scemando, per cui si provò a rilanciare con una manifestazione all’aeroporto militare di Decimomannu, l’undici giugno scorso, manifestazione in cui vi furono scontri molto violenti, ma si riuscì comunque a violare l’area della Base. La prospettiva è quella di un movimento in crescita sia per il numero di militanti che per la qualità delle iniziative. Un movimento che non si ferma di fronte alle denunce, ai processi, alle botte e che promette di creare problemi ad ogni esercitazione cominciando ad essere una realtà di cui autorità militari e politiche dovranno tener conto nella loro programmazione…

Guido Coraddu

1. http://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2015_05/20150508_1505-Factsheet-RAP-en.pdf

2. https://nobasi.noblogs.org/chisiamo/

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Capo Teulada 3 novembre 2015
La rete no basi né qui né altrove in un anno di duro lavoro si è proposta di inceppare la macchina bellica attraverso l’azione diretta contro la guerra e il militarismo. Crediamo sia importante agire, resistere, sabotare, sensibilizzare, informare e contro-informare. Abbiamo percorso migliaia di chilometri, di cui un centinaio a piedi, per incontrarci, per conoscere i territori depredati e per farli nostri. Abbiamo studiato, analizzato e sintetizzato innumerevoli pagine di documenti, per conoscere il funzionamento della macchina bellica, per poter trasmettere la nostra conoscenza e la nostra pratica di lotta in Sardegna e nel Mondo.
Tutto ciò ha contribuito a far crescere il movimento che il 3 novembre ha avuto il coraggio e la determinazione di fermare la più grande esercitazione Nato degli ultimi … anni!

Contro chi ha osato inceppare la macchina da guerra, si è scatenata repressione e disinformazione. Le forze dell’ordine hanno cercato di criminalizzare la Rete No Basi, portando il livello di scontro sul piano personale contro le e gli attivisti (sorveglianze speciali, fogli di via, avvisi orali); i vertici militari, dal canto loro, hanno cercato di minimizzare i risultati delle lotte per non riconoscerne l’efficacia.

Le anime del movimento antimilitarista sono diverse e molteplici, ma il traguardo raggiunto il 3 novembre è stato quello di ritrovarsi uniti in un’unica volontà: violare i divieti e riprendersi in prima persona quanto negato.

Contro la decisione del Questore di vietare una manifestazione è stato espresso un NO corale, affrontando una schedatura fascista fatta di check-point e perquisizioni pur di esprimere la propria opposizione alle basi.

Il NO lo hanno espresso quelle persone che arrivate al concentramento sono partite in corteo per riprendersi gli altri fermati in un posto di blocco. Come lo hanno espresso coloro che hanno deciso di violare i fogli di via, nonostante questa scelta comportasse l’essere allontanati con l’amaro in bocca, coscienti che i provvedimenti di polizia non devono fermare le lotte né in un modo né in un altro.

E ancora più volte NO quando la celere ha cercato di bloccare la manifestazione per non farla arrivare al perimetro del poligono, superando allegramente i grugni incarogniti delle forze dell’ordine, e nuovamente quando si è fatto da scudo umano per permettere a chi voleva raggiungere la base di varcare le reti e fermare l’esercitazione in corso.

Insieme si è gioito per la fine degli spari! Ma la giornata non era ancora finita, ancora insieme si doveva andar via, e così si è fatto.

Insomma il 3 novembre un unico chiaro obiettivo: liberarci dai militari. TANTI MODI, UN’UNICA LOTTA.

Un territorio militarizzato è di fatto un territorio occupato, i fogli di via e il divieto di libera circolazione sono l’ennesima dimostrazione di una vera e propria usurpazione.

Ci dispiace aver incontrato nel nostro tragitto persone preoccupate e impaurite da un possibile futuro senza basi militari, ci rammarica che l’unica fonte di sostentamento che sono in grado di immaginare siano gli indennizzi, ma questo dimostra che le basi militari tolgono dignità, creano schiavitù e siamo sicuri che la restituzione di un territorio non possa che arricchirlo.

Sulla stampa la Questura continua a minacciare future denunce, ma se i fogli di via e le prescrizioni non hanno fermato il corteo del 3 novembre, le denunce sicuramente non ci impediranno di rilanciare la lotta antimilitarista fino a quando le basi non verranno chiuse in Sardegna e nel resto del Mondo, fino a quando la terra non sarà nuovamente libera, fino a che i soldati e la guerra non troveranno alloggio né qui né altrove.

Rete No Basi né Qui né Altrove

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